Parlare come se fosse l

Crea qualche vertigine questa riga che ho oggi proposto, desunta da quel grande scrittore che è stato Elias  Canetti , ebreo nato in Bulgaria nel 1905, autore di  lingua tedesca morto a Zurigo nel 1994.
Se, infatti, pensiamo alla valanga di parole che anche oggi pronunceremo, alla loro vacuità e persino al  male che forse talvolta le inquina, dovremmo avere un po’ di sana paura.

La parola è infatti, la via capitale della nostra comunicazione, è segno di vita e di comunione ma è anche radice di odio e di morte. E’ per questo che essa è necessaria ma è pure rischiosa, è salvifica ma anche mortifera. E allora una volta ogni tanto proviamo a controllare, a vagliare, a giudicare questo flusso sterminato di suoni che fuoriesce dalle nostre labbra. Chi non ricorda lo sconsolato Words, Words, Words, “parole, parole, parole……”dell’Amleto di Shakespeare? O il monito del biblico Qohelet:” Tutte le parole sono logore e l’uomo non può più usarle” (1,8)? E’dunque, importante ogni tanto riaffermare il proposito del Salmista: “Devo vegliare sulla  mia condotta per non peccare con la mia lingua”; devo porre un freno alla mia lingua” (39,2). Cerchiamo di alonare di silenzio certe nostre frasi.

Certo, non saremo mai così sapienti da “parlare come se  quella fosse l’ultima frase che ci è concessa”. Ma pulire un po’ il nostro linguaggio dalla sporcizia, dalle brutture, dalla vanità, dalla cattiveria, dal vuoto, questo si che è possibile. O almeno mettere in pratica quello che suggeriva un altro scrittore, il francese Paul Valéry: “Fra due parole scegli quella minore, più delicata!”.


Tratto da: ”Mattutino” di Gianfranco Ravasi.