Roma comunit


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Sono passati quasi due mesi dall’ esperienza al campo vicariale che si è svolto a Roma dal 20 al 27 agosto ma quell’avventura continua a farmi riflettere.

Abbiamo vissuto una settimana intensa ma di grande collaborazione tra tutti noi ragazzi ed animatori. La convivenza con persone di parrocchie diverse ci ha offerto la possibilità di conoscere gli altri e noi stessi riflettendo assieme sull’importanza di avere un progetto di vita e una comunità di riferimento in cui poter crescere. Abbiamo poi potuto vedere e toccare con mano una realtà molto lontana dalla nostra: la povertà. È stata proprio la comunità di sant’ Egidio ad accompagnarci in questo nostro primo approccio con quelli che comunemente sono definiti “barboni”.

Una sera, con alcuni ragazzi della comunità, siamo andati nelle stazioni, davanti alle farmacie, nei giardinetti pubblici e anche nelle singole "case" per portare alle persone povere i panini che nel pomeriggio avevamo aiutato a preparare. Si sono dimostrate persone molto cordiali e desiderose di raccontare la propria storia. Alcuni avevano perso il lavoro e non avendo i soldi sufficienti per continuare a pagare l’affitto si sono trovati per la strada; altri erano immigrati, soprattutto dall’est Europa, in genere molto giovani, che lavoravano a nero e non riuscendo ad ottenere un contratto di lavoro, avevano scelto una vita “nomade”, quindi spostandosi di stato in stato accumulavano denaro per poi, chissà, tornare dalle loro famiglie e molte altre storie…

L’esperienza più formativa, almeno per quanto mi riguarda, è stato il servizio in mensa.
La comunità di sant’Egidio possiede infatti una struttura che offre ai poveri un ambiente dove poter cenare, in collaborazione con un altro centro gestito dalla Caritas che provvede invece al pranzo. Per poter usufruire di questo basta essere tesserati: spesso molti senza-tetto vengono riconosciuti solo grazie a questa certificazione. A noi ci è stata data la possibilità di potare loro il cibo. Così era necessario instaurare un rapporto seppur minimo con ognuna delle persone che si sedeva al tavolo che servivi. Lì ho capito cosa significa voler bene al prossimo e quanto difficile è.

Molte di quelle persone avevano problemi di alcolismo o disturbi psicologici. Erano bisognose di cibo ma non solo… con un po’ di coraggio iniziavi una conversazione, scoprivi i loro pregi, la loro generosità e simpatia, erano loro ad insegnarti ad apprezzare le piccole cose di ogni giorno.

Poi con un sorriso e a volte pure con gli occhi lucidi ci si salutava, contenti di aver capito che al giorno d’oggi sempre meno si riesce ad apprezzare chi per una qualche sfortuna si trova ad avere bisogno degli altri.


Chiara e Gianluca